I giorni dell'abbandono
- dott_antonio_piccinni
- 24 gen
- Tempo di lettura: 3 min

Ricordate il film del 2005 diretto da Roberto Faenza e con Margherita Buy? La storia narra di una donna lasciata dal marito e che si trova ad affrontare la separazione con un grande senso di vuoto e disperazione. Spesso con i miei pazienti affrontiamo il trauma dell’abbandono e la prima cosa che sentiamo al solo cenno di questa parola è un forte senso di perdita e ansia. Io stesso mi sono sempre definito come una “persona abbandonica” ripensando a tutte quelle volte in cui ho sentito di non essere ascoltato, o visto, nei miei bisogni più profondi. L’abbandono non è solo perdita ma è anche assenza nella presenza. Tutte le volte in cui qualcuno che amiamo (e se siamo fortunati ci ama) non è presente per noi, sotto forma di sostegno e comprensione, scatta questa paura profonda. Forse generata da un trauma ancestrale che si manifesta nella nascita, quando abbandoniamo il grembo materno, o semplicemente nella presenza indiscussa della morte, nostra e delle persone che amiamo. Un concetto che si manifesta in diverse forme, dall'abbandono fisico e materiale all'abbandono emotivo e psicologico. Questo processo (mi piace chiamarlo così) può avere conseguenze profonde sulla nostra psiche, influenzando la capacità di fidarsi degli altri e di costruire relazioni sane e durature. In terapia mi trovo spesso a fare i conti con pazienti che lo hanno vissuto per molte ragioni: la perdita di un genitore o di una figura di riferimento, la fine di una relazione amorosa, l'allontanamento da amici o familiari, o persino l'abbandono di una fase bella della vita.
In ogni caso, l'esperienza dell'abbandono evoca sentimenti di solitudine e incertezza mettendo a dura prova la capacità di adattamento dei pazienti e una serie di reazioni emotive complesse.
La persona abbandonata può sperimentare un senso di rifiuto e colpa, sviluppando paure profonde. Questo può portare a due reazioni opposte. Comportamenti di dipendenza o, al contrario, a un eccessivo desiderio di indipendenza e autosufficienza, nel tentativo di proteggersi da ulteriori abbandoni. Tuttavia, l'abbandono non deve essere visto solo come una fonte di dolore. Può anche rappresentare un'opportunità di crescita personale e di scoperta di sé. Trasformare il senso dell’abbandono come opportunità significa (o può significare) ridare un nuovo significato a questa parola.
È stato molto interessante quando, durante una seduta con una mia paziente, siamo riusciti a dare una voce interna a quella parte di lei che poteva rendere l’abbandono come opportunità. Abbandonare e abbandonarsi poteva finalmente assumere una prospettiva di crescita. Lasciar andare cose del passato non più utili al suo presente e lasciarsi andare (abbandonarsi) a nuove esperienze che in passato le avrebbero causato ansia e paure. Lei aveva subito due grandi abbandoni. Il primo della madre, di cui da piccola, ha dovuto prendersi cura a causa di una forte depressione. Questo la faceva sentire sempre a contatto con un senso di allerta e di morte (paura che si suicidasse). Il secondo di un compagno con cui aveva vissuto una relazione di dipendenza affettiva terminata dopo 10 anni con una separazione. In questo processo, il supporto di amici, familiari può essere cruciale, come anche il dare la possibilità a sé stessi di fare un passaggio di “fedeltà”. L’immagine di sé dipende da quanto ricerchiamo la fedeltà degli altri. Il bisogno di rassicurazione che chi amiamo non ci abbandonerà mai e ci sarà per sempre fedele, seppur nella consapevolezza, a volte, della fragilità umana che ci porta a compiere errori e a vivere nella imperfezione. Cosa può succedere se la fedeltà diventa “ricerca della fiducia in sè stessi”? avere fede di poter affrontare le perdite, avere fede di poter sostenere le imperfezioni delle relazioni umane. Acquisire la solidità per poter affrontare i rifiuti senza andare a compromettere il senso di sé diventa un percorso che ci può rendere liberi di scegliere quando e come abbandonarsi alle cose preziose che il mondo esterno e interno ci possono regalare e di accettare, senza sentirsi annullati, gli inganni della vita. L'esperienza dell'abbandono è universale, ma la risposta ad essa è profondamente personale. È un viaggio attraverso il dolore e la guarigione, che può portare a una comprensione più profonda di sé stessi e delle proprie capacità di affrontare le conflittualità dell’esistenza.
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